AABU – Intervista alla band bolognese che presenta il nuovo album
In occasione dell’uscita del nuovo album “Stammi Vicino” (Overdub Recordings), ho avuto il piacere di intervistare il quartetto bolognese di rock alternativo AABU, acronimo di Abbiamo Ancora Bisogno di Urlare.
Ciao e benvenuti su Tuttorock, parliamo subito di questo vostro nuovo album, “Stammi Vicino”, che riscontri state avendo?
Ciao a tutti! Il nostro nuovo disco uscito il 19 settembre per Overdub Recordings sta avendo i primi riscontri molto positivi, gli ascolti stanno aumentando, arrivano le prime recensioni positive e speriamo ne arrivino molte altre. Siamo molto contenti del fatto che il messaggio di vicinanza che volevamo far emergere abbia colpito quasi più del nostro nuovo stile.
Ascoltando più volte il disco, ho apprezzato molto l’ordine in cui sono stati inseriti i brani, che formano una sorta di concept album in cui è sì importante la parte musicale ma allo stesso tempo lo è anche la parte lirica. Siete partiti da un tema, da una parola, da un suono o ogni brano ha una sua personale storia?
Ogni brano del disco ha una sua storia personale: non siamo partiti da un unico tema o da una parola chiave, ma dalle nostre esperienze, dalle fragilità e dai vissuti che ognuno di noi si portava dentro. Col tempo queste canzoni hanno trovato un filo comune, come se si chiamassero l’una con l’altra, fino a formare un percorso che assomiglia davvero a un concept album.
Spesso le idee nascono da una chitarra acustica o da un riff semplice, ma poi in studio diventano qualcos’altro: lì la ricerca sonora, i synth, i campionamenti e l’elettronica ci hanno permesso di amplificare le parole, di dargli nuove sfumature e di trasformare le emozioni in paesaggi sonori.
Non è stata una costruzione calcolata: è successo in modo naturale. Guardandoci indietro, ci accorgiamo che l’ordine dei brani racconta un viaggio emotivo, fatto di solitudine, paura, ma anche di condivisione e ricerca di vicinanza. In questo senso sì, la parte musicale e quella lirica sono inscindibili: camminano insieme e si sostengono a vicenda.
A proposito della parte musicale, date molto più spazio all’elettronica, com’è avvenuto questo cambiamento?
Il cambiamento verso l’elettronica è arrivato in modo naturale, senza un vero piano prestabilito. Sentivamo che era il momento di fare un passo oltre rispetto ai nostri lavori precedenti: eravamo abituati a un approccio più chitarristico e minimale, ma con il tempo abbiamo sentito l’urgenza di essere più diretti e immediati, e al tempo stesso di esplorare sonorità più complesse.
L’elettronica ci ha offerto proprio questo: un universo infinito di possibilità in cui perdersi e ritrovarsi. All’inizio è stato come entrare in un labirinto, ma col tempo abbiamo trovato il nostro sentiero, scoprendo nuovi modi di comporre e un suono che ci rappresenta senza snaturarci.
Il processo creativo è cambiato molto: le classiche prove in sala hanno lasciato spazio a lunghe sessioni di ricerca sonora con synth analogici, drum machine, sampler e computer. In questo “laboratorio” abbiamo imparato a cesellare ogni dettaglio e a far sì che le parole e la voce trovassero nuova forza grazie a queste atmosfere.
Possiamo dire che l’elettronica è diventata il simbolo della nostra maturità musicale: un vestito diverso che ci permette di restare noi stessi,
L’idea della foto di copertina di chi è stata?
L’idea della copertina è nata da un confronto tra di noi: volevamo che l’immagine fosse il riflesso fedele di ciò che avevamo messo dentro al disco. Non ci interessava qualcosa di puramente estetico, ma un’immagine che sapesse parlare subito di fragilità, vicinanza e ricerca. In questo percorso l’incontro con Danilo Garcia Di Meo è stato fondamentale: lui ha saputo restituire con autenticità la nostra identità e trasformare le emozioni in un linguaggio visivo che ci rappresentasse davvero.
La copertina non è solo un “vestito” del disco, ma un invito a entrarci dentro. Per noi significa anche metterci a nudo, mostrare senza filtri quello che siamo, con le nostre paure e le nostre verità. È un’estensione del viaggio musicale e lirico che proponiamo: prima ancora di ascoltare, volevamo che chi guarda la copertina potesse sentire la sincerità e la vulnerabilità che hanno dato vita a queste canzoni.
Quando e come nasce il progetto AABU?
Il progetto AABU nasce diversi anni fa (forse troppi!), dall’incontro di un gruppo di amici che prima ancora di essere una band sono sempre stati una famiglia e scrivere canzoni è diventato il nostro modo per affrontare ciò che avevamo dentro: paure, fragilità, ma anche sogni e desideri.
Fortunatamente siamo una band piuttosto longeva, e probabilmente lo siamo proprio perché abbiamo sempre saputo ascoltarci, anche al di fuori della musica. La vicinanza umana che ci lega è ciò che ci permette di restare uniti: siamo attenti ai bisogni reciproci, ci parliamo, ci confrontiamo, a volte ci scontriamo — ma sempre con sincerità.
Questo continuo dialogo è la base del nostro rapporto, vero, diretto, senza filtri. È lo stesso approccio che cerchiamo di mantenere anche nelle nostre relazioni fuori dalla band, con gli amici, con le nostre famiglie. Per noi la relazione — artistica o personale — si nutre di ascolto, confronto e rispetto. È questo che ci tiene insieme.
E se dovessimo riassumere la nostra storia con una battuta, diremmo che per noi la musica è sempre stata il nostro psicologo: ci ha ascoltati, consolati, messi di fronte ai nostri limiti e ci ha insegnato a trasformarli in canzoni.
Dei concerti che avete fatto, ce n’è uno che ricordate particolarmente?
Se guardiamo indietro, ci sono diversi concerti che hanno segnato tappe fondamentali del nostro percorso.
Il release party del nostro primo disco “Basta Scegliere” e l’apertura ai Ministri al Vidia Club di Cesena, il Frogstock insieme agli Ex-Otago, i faticosissimi concerti del secondo disco “Abbiamo Ancora Bisogno di Urlare”, il concerto ad Albenga in cui tornando a casa alle 4 del mattino abbiamo salvato la vita a un signore…ma alla fine casa è sempre casa e quando suoniamo al Covo Club a Bologna è sempre qualcosa di speciale. Ormai è una tradizione presentare il disco al Covo.
A proposito di concerti, avete qualche data in programma?
Come dicevamo, ormai è una tradizione presentare il disco al Covo Club di Bologna, e allora il 24 ottobre 2025 sarà la prima data di presentazione del nostro nuovo lavoro. Siete tutti invitati ovviamente.
La speranza mia è di non dover aspettare altri 7 anni per il prossimo album, me lo potete promettere?
Il nostro è un vero atto di resistenza in un mondo che va sempre più veloce, dove per esistere devi far uscire un brano al giorno, non importa con che qualità, non importa che abbia un messaggio. Però abbiamo già un po’ di cose nel cassetto pronte per essere tirate fuori quindi chissà, potrebbero essere solo 6 anni questa volta.
Grazie mille per il vostro tempo, vi lascio piena libertà per chiudere questa intervista come preferite.
Grazie a voi. Ci vediamo sotto il palco. Stateci vicino, statevi vicino.
MARCO PRITONI
Sono nato ad Imola nel 1979, la musica ha iniziato a far parte della mia vita da subito, grazie ai miei genitori che ascoltavano veramente di tutto. Appassionato anche di sport (da spettatore, non da praticante), suono il piano, il basso e la chitarra, scrivo report e recensioni e faccio interviste ad artisti italiani ed internazionali per Tuttorock per cui ho iniziato a collaborare grazie ad un incontro fortuito con Maurizio Donini durante un concerto.




