Now Reading
“A Night in London…” – Intervista a Joe Wright roadie di Jimmy Page (part 1) …

“A Night in London…” – Intervista a Joe Wright roadie di Jimmy Page (part 1) …

Chiudo per un attimo gli occhi e scorro il tempo al contrario, indietro lontano per immaginare cosa accadde la notte del 7 febbraio 1969, quando il giovane Joe arrivò al tanto atteso Kinetic Playground Festival, nella cittadina di Lawrence poco lontana da Chicago, per assistere al concerto della nuova band di un Ex illustre Yeardbirds, il leggendario chitarrista dei Led ZeppelinJimmy Page

Joe Wright, detto anche “Jammer”, soprannome che gli venne attribuito da Robert Plant e Jimmy Page pochi mesi dopo, quando le loro vite torneranno per una serie di coincidenze ad incrociarsi e, Joe diventerà per tutta l’estate del 1969 roadie e tecnico delle chitarre di Jimmy Page e dei Led Zeppelin.   

Dove sei nato, Joe?
“Sono nato e cresciuto nella parte sud di Chicago, quella bianca per intenderci, che al tempo era ancora separata da quella nera. Un periodo in cui c’erano ancora tante barriere razziali”.  


Come è avvenuto il primo incontro con la musica?
“All’età di otto anni ho iniziato a suonare la chitarra  e poi, la batteria. Mio padre aveva praticamente obbligato me, i miei fratelli e sorelle ad imparare a suonare uno strumento. Sai, vengo da una famiglia di operai ma in ogni caso mio padre teneva moltissimo all’educazione musicale e ci ha spinti a studiare per almeno due anni uno strumento musicale. Puoi immaginare, nessuno in famiglia aveva mai avuto a che fare con la musica; tempo dopo avvenne che a causa di problemi di salute dovetti stare sei mesi in ospedale e al mio ritorno a casa, ricordo mio padre che mi disse: “ricorda, Joe, devi iniziare a studiare uno strumento”, anche per questo ringrazierò per sempre il mio papà. Nel 1960 l’unica musica che potevi trovare negli Stati Uniti era la Surf music e io ancora non conoscevo nulla del Blues di Chicago, genere che scoprii qualche anno dopo a Londra. Nel mondo della musica le cose cambiarono con l’arrivo dei Beatles. Nel 1965 andai a vederli all’Anfiteatro di Chicago, dove c’erano presenti 17.000 ragazze e, io! Proprio quel giorno realizzai che avrei voluto poter essere sul palco esattamente come loro. Quelli erano gli anni della British Invasion e poi, successivamente, grazie alla musica dei Rolling Stones ho iniziato ad avvicinarmi allo studio del Blues di Chicago. In quel periodo gli Yardbirds erano una delle mie band preferite, e questo mi fece conoscere musicalmente uno dei loro più talentuosi chitarristi: Jimmy Page”. 

Joe, torniamo alla sera del 7 febbraio 1969. Per quale motivo eri andato al Kinetic Playground?
“Il motivo per cui ero andato al Kinetic Playground a vedere i Led Zeppelin, era legato principalmente agli Yardbirds, poiché  Jimmy Page era stato il loro ultimo grande chitarrista”. 

Quando è iniziata la tua attività di roadie? 
“In qualche modo desideravo entrare nel mondo dello show business e, conseguentemente del rock ‘n’ roll life style, ma per fare questo dovevo andare a Londra.  Allora decisi di aiutare i rodies a scaricare i camion con le attrezzature per gli spettacoli nei luoghi dove si tenevano i concerti, questo prima del 7 febbraio 1969, un modo semplice e immediato per avvicinarmi alla scena rock”. 

Come è avvenuto il primo incontro personale con i Led Zeppelin?
“Durante il Kinetic avevo il compito di gestire le jam sessions e il martedì sera, dopo la jam,  andai nei camerini, in quel momento arrivarono i Led Zeppelin, fu allora che incontrati per la prima volta Jimmy Page. Qualche ora dopo andai a vedere il loro show, ricordo che tenevo sempre con me la mia Gibson Les Paul 1964. Dopo il concerto accadde che Robert PlantJohn Bonham Jimmy Page vennero da me perché volevano comprare la mia chitarra, provarono a tirarla a sorte, facendo offerte sempre più alte per cercare di convincermi a venderla: Plant offrì 250, Bonham 350 e Page 500 dollari. In realtà tempo dopo ho scoperto che il loro era solo un giochino che facevano spesso in tour, un semplicissimo modo per divertisti, non erano per niente interessati alla mia chitarra”. 

Come hai fatto ad andare in tour con loro nell’estate nel 1969?
“Devi sapere, Maurizio, che la prima regola che ho imparato in quell’ambiente è stata: “non fare troppo domande!”. Quell’estate andai al Newport Rhode Island per assistere a un loro concerto, in quell’occasione incontrai Clive Coulson, il capo responsabile dei roadie dei Led Zeppelin. Andai da lui: “Piacere sono Joe Wright di Chicago” gli dissi, lui mi racconto che avevano avuto problemi con uno dei loro uomini, e serviva al più presto un sostituto. Io gli spiegai che avevo già fatto in precedenza questo lavoro, conoscevo quindi il mestiere del roadie, e in quel momento realizzai che ero nel posto giusto al momento giusto. Qualche ora dopo ero al telefono con mia mamma per avvisarla che sarei stato via per alcuni mesi e non sarei tornato a casa. Incredibile! Io ero in tour con i Led Zeppelin e ci sarei stato per tutta l’estate… Clive mi disse che potevo stare con la band sul palco e mi  chiarì i miei compiti, spiegandomi che dovevo anche occuparmi principalmente della parte tecnica riguardante le chitarre e le attrezzature di Jimmy Page”. 

Qual è stata la tua prima impressione dei Led Zeppelin dal vivo?
“La prima impressione? Vedere i Led Zeppelin dal vivo era come essere investiti da un treno merci carico di steroidi! Il concerto dei Led Zeppelin al Kinetic venne aperto dal brano Communication Breakdown,  e noi pensammo: “Cos’è questa roba?”, le altre band che partecipavano al Festival erano totalmente prese dalla Psichedelia, ma i Led Zeppelin arrivarono con quella confusione che era qualcosa di diverso, nuovo.
Quando mio padre venne improvvisamente a mancare, io ero all’ultimo anno delle scuole superiori, per me fu una grande perdita, il che mi rese particolarmente triste anche per il grande sostegno e incoraggiamento che lui mi diede nel continuare a suonare la chitarra. E così nell’estate del ’69 ero uno dei roadie dei Led Zeppelin che parteciparono, in quel periodo, a vari Festivals estivi. Ricordo ancora quando vennero invitati a Woodstock, ma rifiutarono l’offerta perché non volevano condividere il palco e proprio durante quel week-end parteciparono a diversi festival a loro dedicati. Tre giorni di Led Zeppelin! Ricordo il Festival di Seattle dove suonarono con i Doors, che aprirono il concerto”. 

In quel periodo hai fatto molte Jam Sessions con jimmy?
“Abbiamo jammato insieme ogni volta che potevamo, in hotel, nel backstage o anche durante il soundcheck prima dei concerti. Quando poi sono andato in Inghilterra ho fatto visita a Jimmy nella sua casa a Pangbourne, dove mi insegnava alcuni riff tra cui quello di Black Dog. Certe volte mi dava un riff da suonare mentre lui, sotto, lavorava alla parte armonica, al tempo non c’erano le double tracking e in questo modo si poteva creare più facilmente”. 

Cosa ricordi delle chitarre usate da Page? 
“Nel primo periodo la Fender Telecaster è stata una sua scelta, ma certamente ricordo anche la Les Paul “Joe Walsh”, quello fu un vero affare, gli costò 250 dollari circa, ed ero con loro quando venne acquistata, quella fu una delle sue chitarre preferite. Ricordo anche la Black Beauty con il tremolo Bigsby che sfortunatamente andò perduta durante il tour. Io “customizzai” per Jimmy entrambe le chitarre, cambiando i copri pick up (microfoni) e portando altre piccole modifiche alle chitarre”. 

Da Jimmy Page cosa ai imparato? 
“Lui mi ha insegnato a non essere troppo complicato nel suonare, cercando la mia strada, nonostante lui, poi, fosse un vero mago nel padroneggiare la chitarra e le sue composizioni erano abbastanza complesse”. 

Cosa accade nella tua vita dopo la fine del tour estivo? 
“A quel punto ero un chitarrista a tempo pieno. Peter (Grant, manager dei Led Zeppelin) mi chiese cosa volevo fare a quel punto e gli risposi: “vorrei entrare nel rock ‘n’ roll business a tempo pieno, puoi aiutarmi?”, Jimmy e Peter mi dissero che dovevo andare a Londra e così fu! Così il 15 Novembre sono arrivato a Londra.  Peter mi disse di andare a Londra da solo ma non ero sicuro che mi avrebbero davvero aiutato, e portai con me alcuni ragazzi con cui suonavo in quel periodo, e questo lo fece arrabbiare. Ricordo che portai con me anche due amplificatori Marshall, ma – Chi porterebbe con se da Chicago degli amplificatori Marshall nel paese dove vengono prodotti?- , ero un ragazzo di diciotto anni con tante cose ancora da imparare ed ero nel posto giusto per farlo”. 

Fine prima parte

MAURIZIO DENTE