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 HELLOWEEN “GOD-GIVEN RIGHT WORLD-TOUR” + Rage + Crimes of Passion – Li …

 HELLOWEEN “GOD-GIVEN RIGHT WORLD-TOUR” + Rage + Crimes of Passion – Li …

Spetta ai COP-UK (Crimes of Passion), rockers scozzesi non propriamente di primo pelo, entrare in scena per primi sul prestigioso palco dell’Alcatraz di Milano, e lo fanno baldanzosamente sulle note della marcia imperiale di Star Wars. Il sestetto, già attivo dal 2005, è stato poi lanciato nel 2011 da Biff Byford dei Saxon per un tour europeo, ed ha fatto uscire esattamente una settimana fa il suo ultimo album No place for heaven. Sul palco i COP-UK mostrano molta energia e molta voglia di coinvolgere il pubblico, impresa che però stasera sembra riuscire solo parzialmente: per i fan giunti fin qui per gli Helloween ed i Rage i nostri suonano infatti eccessivamente forzati e piatti per far presa sul pubblico. Apprezzabili comunque alcuni assoli di chitarra, in cui velocità e tecnica non mancano, particolarmente in Catch me if you can, e in alcuni punti il cantato. My blood inizia con piglio più convincente, più carica delle consimili e con un ritornello abbastanza catchy, almeno finché alla voce di Dale non si affianca Henning, il tastierista, con un esperimento di controcanto distorto che non pare inserirsi bene nel frame della canzone. Stranger than fiction rappresenta la immancabile ballad, ma anche l’occasione per Dale di invitare il pubblico (“a room of friends we haven’t met yet”) a prendere una birra con lui dopo il concerto. Si chiude infatti poi con Accidents Happen, Even Here, pezzo del 2011 tratto da To die for; non si può negare che sia più incisivo dei precedenti, con riff più potenti e veloci.
Performance nel complesso un po’ deludente, nonostante la tanta carica e voglia di fare del sestetto scozzese, complice forse la gestione non perfetta dei suoni, in special modo della batteria; buono il riscatto sul finale, anche se fa concludere che i pezzi più vecchi fossero da tenere in setlist.
 
Formazione:
Dale Radcliffe (vocals)
Charles Staton (guitar)
Andrew Mewse (guitar)
Henning Wanner (keys)
Scott Jordan (bass)
Kevin Tonge (drums)
Giusto il tempo di presentare la band in uscita, fare la foto di gruppo di rito, e subito ci si prepara per i Rage; una buona parte del pubblico, a giudicare dalle impressioni raccolte fra la gente, è qui stasera solo per loro, soprattutto per vedere dal vivo la nuova formazione, con Marcos Rodriguez alla chitarra e Vassilios Maniatopoulos alla batteria oltre al solito e sempre più ben pasciuto Peter Wagner. A questo punto è subito un’altra storia: il carisma dei Rage si fa sentire fin dalle prime note, i problemi di audio svaniscono nel nulla, e abbiamo la dimostrazione pratica che tre persone possono suonare decisamente più forte che sei. Fra le varie linguacce in stile Kiss esposte a mo’ di saluto, i decibel salgono vertiginosamente e così fa anche l’entusiasmo della folla. Quasi senza parlare, Peavy ed amici macinano via i primi due pezzi (Black In Mind e Sent by the devil), pestando sempre più forte e sempre più veloce.  Particolarità della setlist di stasera è dichiaratamente la riscoperta di tanti pezzi tirati fuori da un cassetto che non si apriva da diversi anni: da End of all days del 1996 fino a Don’t fear the winter, in assoluto il pezzo più vecchio della serata, datato 1988, passando per vari altri pezzi, come i primi proposti, che sono stati recentemente remastered. I nostri si godono il palco ed un pubblico che canta ininterrottamente fra pezzi vecchi e nuovi, poga e salta e si emoziona ad ogni antica perla che viene rilucidata a nuovo; non manca il tempo per piccoli siparietti di lingua, con Marcos pronto a sfoggiare il suo vantaggio da neolatino per accattivarsi i fan con un italo-spagnolo sempre divertente. C’è tanta storia da raccontare quindi per i metallari di stampo germanico (anche se di propriamente tedesco ormai è rimasto solo più Peavy), ma c’è anche una nuova chicca: My way, primo singolo del prossimo album dei Rage, in uscita a Maggio 2016, di cui ci viene anche svelato (in anteprima!) il titolo: Devil strikes again; il boccone è dei più appetitosi, ed il pezzo, convinto e sempre tirato, è un ottimo antipasto per il prossimo disco. La successiva Until I die richiede un cambio di chitarra (si passa alla buona vecchia V) e un paio di buoni piedi per saltare a tempo con il pezzo. Higher than the sky diventa occasione di un bel momento di accorato singalong, che si protrae anche senza base, e qui Peavy ci gioca uno scherzetto: ci fa continuare a cantare il ritornello, ma poi la musica che ricomincia si trasforma brevemente in Sweet home Alabama, con gran divertimento del pubblico, che prontamente si adatta a questo shift più rockettaro.
Che dire, i Rage sono una sicurezza, lo sono fin dal lontano 1988, come dimostrano i pezzi proposti stasera, e molto probabilmente lo saranno anche nel prossimo futuro, per Devil strikes again, con questa formazione rinnovata per ben due terzi, ma con elementi di tutto rispetto.
 
SETLIST RAGE
Black In Mind
Sent by the devil
End of all days
Back in time
Going down
My way
Until I die
Don’t fear the winter
Higher than the sky
 
Formazione Rage:
Peter Wagner – voce, basso
Marcos Rodriguez – chitarra
Vassilios Maniatopoulos – batteria
Gli Helloween fanno salire le aspettative del pubblico ancora prima di salire sul palco, in perfetto orario come da stile Alcatraz: dal buio emerge dapprima la batteria di Daniel, un temerario (e un po’ tamarro) drum kit quasi totally white, con un numero di grancasse spropositato ed una potenza di fuoco in termini di decibel tale da far tremare la gabbia toracica alle prime 10 file – già durante il soundcheck. Poi emerge un’altra chicca, una gigantesca statua della libertà gonfiabile in versione “zucchificata”. Con queste premesse, e sulle note cantilenate dal pubblico di “Happy, happy Helloween”, i nostri salgono sul palco e si giocano subito un pezzo da novanta con Eagle fly free. Andi e compagni non si risparmiano fin dalle prime note, e dimostrano tutta la solidità della band: non sgarrano di una nota, si muovono sul palco come in una coreografia innata, divertono tutti anche solo con le loro espressioni facciali (Michael è veramente un personaggio indescrivibile). Dr. Stein dà luogo ad un bel duetto fra le chitarre di Michael e di Sascha (quest’ultimo armato anche di viso glaciale e di look da “no, non sono poser, suono con gli Helloween”) ed a un ottimo acuto finale da parte di Andi. My god-given right è una title track fra le più riuscite, ma del resto si potrebbe dire lo stesso praticamente di tutto il nuovo album (che però, come ricorda Andi, “non è più così nuovo”): potente, epico, quasi perfetto. In effetti fra un “it’s my right” ed una consensuale risposta del pubblico “my god-given right!”, come dice Andi, “potremmo andare avanti 3 ore e mezza a cantarla tutti insieme”. Chitarre (e bassi) si alzano al cielo su Steel Tormentor, ma è in arrivo una doppia cannonata: Mr. Torture, che ha fatto i soldi vendendo dolore, e la fantastica Waiting for the thunder; il pubblico è sempre più esaltato, il pogo coinvolge ormai metà della platea e si comincia a vedere un po’ di sano crowdsurfing, che culmina in Straight out of hell. C’è un momento per tutti di fare la parte dell’eroe, in questa serata, (“Everyone can be a hero, we are, we are”), ed è arrivato anche il momento di Daniel: i compagni lasciano il palco, e tutta l’attenzione va al lungo drum solo. Where the rain grows fa scendere probabilmente qualche lacrima di epicità sui volti dei metallari in sala, con Markus, Michael e Sascha che danno spettacolo prendendosi tutti gli onori del caso. Lost in America è la “hit” più catchy dell’ultimo album, con un ritornello che non perdona (“we are high, we are far, but we don’t know where we are, we are lost, lost in America”) ed un testo ispirato ad una storia vera, come dichiara Andi. Poi Power, la piccola frenata di ritmo su Forever and one, ed infine, con un bel cappello a cilindro in testa, una carrellata di pezzi che hanno fatto la storia, e che non possono non avere esito in Keeper of the seven keys.
Breve uscita di scena (coreografica pure quella, con un’uscita uno alla volta, mentre gli altri continuano a suonare, fino allo spegnersi delle ultime note dell’arpeggio di Sascha) e poi i nostri tornano, dopo essersi sincerati che nessuno in sala si sente stanco e che non è tempo di andare a dormire, per regalarci tre ultime chicche: Before the war, fortissima e tutta da saltare, Future world, occasione di numerosi “Fuck yeah!” e la conclusiva I want out, in cui di nuovo il singalong prende il largo e il frontman scherza su autobus da prendere per tornare a casa (o per proseguire il tour, presumiamo). Si torna seri solo per le ultime note, che divampano in un Alcatraz in cui l’adrenalina è stata a mille per più di due ore di fila.
Peccato solo che gli Helloween ci abbiano concesso una sola data italiana, perché senza sforzo li saremmo andati a vedere tutti i giorni della settimana! Formazione ormai ben rodata, grande chimica sul palco, pezzi che a distanza di anni lasciano ancora col fiato sospeso e il cuore che batte a mille, pezzi più nuovi che incredibilmente, anche dopo vari passaggi di consegne nei vari cambi di line-up, riescono a fare lo stesso effetto di quelli vecchi, ed un Andi Deris in forma spettacolare, con una voce che tiene ai massimi livelli per tutta la durata del concerto.
Cosa si può volere di più?
 
SETLIST HELLOWEEN
Eagle fly free
Dr. Stein
My god-given right
Steel tormentor
Mr. Torture
Waiting for the thunder
Straight out of hell
Heroes
Drum solo
Where the rain grows
Lost in America
Power
Forever and one (Neverland)
Helloween/Sole survivor/I can/Are you metal
Keeper of the Seven keys
 
Encore
Before the war
Future world
I want out
 
Formazione Helloween
Michael Weikath lead & rhythm guitar, backing vocals
Markus Grosskopf bass, backing vocals
Andi Deris lead vocals, acoustic guitar, megaphone
Sascha Gerstner lead & rhythm guitar, backing vocals
Daniel Löble drums
 
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IRENE DOGLIOTTI
Photoset by ANDREA BOSCHETTI

Credits: si ringrazia LiveNation Italia per la gentilissima disponibilità e la perfetta organizzazione dell’evento.