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CALIBRO 35 opening Angelo Sicurella – Live @ Teatro Biondo Palermo 15-2-2016

CALIBRO 35 opening Angelo Sicurella – Live @ Teatro Biondo Palermo 15-2-2016

Chiedo scusa ai lettori di questa mia ultima recensione, ma avverto preventivamente che nel redigerla sono stato costretto ad un paio di digressioni personali, cosa che cerco in genere di evitare più o meno con la stessa attenzione che porrei nel non contrarre la peste. Arrivato a Palermo, ormai quattro anni fa, parlando con vari musicisti  della scena locale mi accorsi che  ricorrevano spesso tre nomi: Waines, Dimartino, Angelo Sicurella. Della triade, proprio Sicurella (timoniere degli Omosumo) era l’unico che ancora mi “mancava all’appello” e questa apertura ai Calibro 35 è stata la giusta occasione per apprezzarne tutto il fascino garbato. L’approccio intimista con cui affronta lo show parrebbe proiettarlo sulla tolda delle proprie stanze, capitano di un ipotetico salotto che è diventato per l’occasione il Biondo (in verità non pienissimo come in altre occasioni della stessa rassegna). Non stupisce pertanto che si presenti in veste da camera, come a dire: questa è casa nostra e qua ci piace stare comodi! Interessantissimo è come il nostro “alto ufficiale” riesca a svolgere la sua personalissima “Odissea” fatta di suoni campionati e preziose schegge di poesia. Mi dispiace che l’acustica, l’effettistica o il reiterato uso del falsetto, non permettesse  di fruire a pieno dei testi, ma quel 75% che sono riuscito a percepire, mi è piaciuto e non poco. Impossibile non avvicinarlo al lavoro di De Leo, mondato di tutti quei tecnicismi di cui il cantante romagnolo è maestro. L’andamento dei pezzi  ed il suo svolgersi  è lisergico. E’ raro che mi succeda ultimamente, ma mi sento risucchiato  dal suo mood artistico, come un pianeta che si è avvicinato troppo  ad un buco nero. Il senso di smarrimento è totale quando nel silenzio profondo in cui il teatro è sprofondato, coraggiosissimo, canta l’ipertrofica preghiera, quasi formula magica: ”L’amore non ci trova più!”. I suoni da rave educato si bloccano in quel silenzio denso di tante cose, e poi ripartono, come una fionda a cui la mano destra ha lasciato l’elastico. Il sasso che mi arriva in faccia è il tema “resofonico”di una chitarra campionata che ancora mi porto dentro, dopo ore che si è conclusa la serata. Insomma, sempre più ho la percezione fondata che le chiacchiere stiano a zero e le cose siano sempre determinate dai fatti: ecco, a me, questo Angelo Sicurella è piaciuto molto, sorta di De Andrè in acido che non è altro!
La seconda digressione personale che sono costretto a fare, riguarda un vecchio compagno di liceo. Un ragazzetto simpatico del biennio di cui si diceva un gran bene. Un giorno mi arriva all’orecchio che quel “ragazzetto” si è trasferito a Milano (ricordo che dentro di me sorrisi, ben sapendo che, se si vogliono fare bene le cose, è lì che bisogna andare ed ero felice che qualcuno dotato non perdesse tempo in onanismi da osteria, in cui ho visto perdersi altri musicisti che pure molto ho stimato). Dopo poco tempo, risentendo parlare del “pischello”mi venne riferito che si era unito ad Enrico Gabrielli dei Mariposa. La band riprendeva il sound dei film anni ’70 e  stavano per completare il loro primo disco. “Hanno la voce?”, chiesi. “No, tutto strumentale” mi venne risposto. Ed è a questo punto che si può intendere quanto poco di marketing musicale capisca chi vi parla, poiché ricordo perfettamente che senza dire nulla, bollai mentalmente la cosa con un lapidario: “Non faranno gran ché!”. Quel ragazzo era Massimo Martellotta e la band, l’avrete capito, erano i Calibro 35! Quel primo album (bellissimo) era l’omonimo Calibro 35 (Cinedelic Records, 2008) che ebbe un grande e meritato successo. Che si creda o no, gioii del mio errore di valutazione per rifarne a ruota un altro: quello di pensare che, sull’onda di una tale affermazione, avrebbero preso un singer di livello per diventare la più sperimentale band del panorama italiano. Invece (attenzione che ne sto sparando un’altra!) la band ha reiterato la stessa formula, proseguendo il suo cammino, fino ad oggi, giorno in cui ce la siamo trovata al Biondo a ripetere sé stessa, senza possibilità di scampo per il povero recensore. Alla guida un Enrico Gabrielli sempre più scolastico sulle testiere, intento a sfoggiare il solito, logorroico, florilegio di sinth dal suono psichedelico, in più punti alquanto retorico. Saldamente e filologicamente fermo ai 70s, al prog più di maniera e ad orchestrazioni tanto perfette da arrivarmi fredde come lame di katana. Capacissimo ai fiati (soprattutto quando imbraccia il clarinetto basso), più prende sicurezza, più lo vedo issarsi sul podio di quel barocco tastieristico che persino il Nocenzi dell’ultimo periodo pareva aver abbandonato. Non so se l’industria discografica si stia preparando alla, speriamo lontanissima, dipartita del maestro Morricone, ma di certo Gabrielli mi pare il più degno designato alla successione. Non fosse che viene 50 anni dopo e che, in fondo in fondo, chi scrive gli ha sempre preferito Armando Trovajoli!

Il gruppo, fortunatamente, vibra intensamente proprio per l’abilità stilistica di Martellotta (quando imbraccia la chitarra). Vive e respira dei suoi lampi di freschezza, anche quando insegue ritmiche assennate, degne della migliore tradizione degli inseguimenti all’americana, ridestando lo spettatore da quella catarsi in cui il buon Enrico cerca di prostrarlo. Ovviamente queste sono le personalissime disamine dello scribacchino che sto diventando, perché al contrario, la sala, ad ogni finale, risuona di un applauso convinto e più che fragoroso! Al pubblico piacciono e non poco!!! Per cui, nient’altro da dire. Se il mio compito non fosse quello di sottolineare le belle e funzionali linee di basso di Luca Cavina al basso che , come un binario, forniscono al treno la direzione. Buonissime le ritmiche serrate di Fabio Rondanini alla batteria, anche se spesso le ho trovate troppo dense, insistendo su tempi portati costantemente sul ride (il suo set non prevede crash di sorta) che limitano un po’ le soluzioni e i colori restituendo un senso di claustrofobia non sempre piacevole. Il terzo bis del pubblico arriva a suggello di quanto di sbagliato ci sia in questa mia recensione. La bella rivisitazione del tema di “Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto” (magnifico film diretto nel ’70 da Elio Petri) fa venire giù il teatro. Però se mi interrogo con onestà intellettuale su cosa rimane di questo concerto, facendomi probabilmente più nemici di quanti già non ne abbia sparsi per il mondo (causa congenita sincerità e “discrasia diplomatica”) non posso non dire: le ottime declinazioni in chiave funk, le ottime esecuzioni delle singole partiture e la sommessa considerazione che mi fa pensare che forse, questa band che tanto ho apprezzato nei capitoli precedenti , sia un po’ arrivata alla conclusione di un percorso interessantissimo, ma che col tempo ha perso freschezza e che forse avrebbe bisogno di reinventarsi un po’, per  tornare poi ancora più splendenti, con una proposta musicale più degna degli ottimi musicisti di cui questa band è composta, perché (dannazione, lo devo dire!) di “spaziale”, in quest’ultimo lavoro, c’è davvero poco! Il concerto è finito. Salgo nei camerini a salutare il compagno di scuola pregando che non mi chieda: “Ti è piaciuto?”

MASSIMILIANO AMOROSO
Photoset by AZZURRA DE LUCA
 
Credits: si ringrazia il Teatro Biondo di Palermo per la gentilissima disponibilità e la perfetta organizzazione dell’evento.
 
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