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STORIES – Gemme dylaniane: la musica di Bob Dylan negli anni del 45 giri

STORIES – Gemme dylaniane: la musica di Bob Dylan negli anni del 45 giri

DYLAN BOB Bob Dylans Greatest Hits Vol. II 2

La discografia di Bob Dylan, la circostanza è ben nota ai suoi estimatori, è sterminata. A una discografia “ufficiale” che si compone di circa quaranta titoli si sommano le oltre trenta uscite di dischi spesso doppi o tripli che contengono materiale antologico o registrazioni dal vivo oppure facenti parte di bootleg o, ancora, contenenti versioni alternative di canzoni pubblicate in album e mai distribuite precedentemente. I singoli pubblicati dal cantautore americano a partire dal 1962, poi, sono ancora più numerosi. Essi di norma riproducono brani pubblicati anche su album, e tuttavia alcune splendide songs dylaniane risultano pubblicate unicamente su singolo ancora oggi mentre altre, in anni successivi rispetto alla loro prima uscita, sono state incluse in raccolte antologiche come “Biograph”, “Bob Dylan’s greatest hits Vol. II” e “Masterpieces”. Parliamo di alcune di queste canzoni.

Nella sua versione definitiva “Positively 4th Street” fu registrata a New York il 29 luglio 1965 e anticipa un altro grande singolo di Bob inciso in quel periodo di grandi cambiamenti (non solo per Dylan ma per tutta la musica rock in generale). Il brano, una robusta ballata elettrica tipicamente dylaniana, uscì solo su singolo (con “Can you please crawl out your window?” fu poi inserita in “Biograph”, raccolta di tre CD, nel 1985). La sua apparizione sul mercato discografico può essere collocata temporalmente tra l’uscita degli album “Highway 61 revisited” e “Blonde on blonde”.  I musicisti che realizzarono la canzone in studio rispondono ai nomi di Robert Gregg (batteria), Russ Savakus (basso), Frank Owens (pianoforte), Al Kooper (organo) e Mike Bloomfield (chitarra); alcuni di essi parteciparono alla realizzazione di entrambi gli album citati, altri suonarono solo in “Highway 61 revisited” o solo in “Blonde on blonde”. Il singolo, di un genere che fu subito definito folk-rock, scalò le classifiche di vendita. Rileva lo storico biografo di Dylan, Anthony Scaduto, che tale genere divenne quello preferito degli affaristi di una nuova Tin Pan Alley che non facevano che ripetere a cantanti autori e musicisti: “Ragazzi, buttatevi sul sound alla Dylan: è il genere che va”. Sulla scorta del gradimento di cui aveva iniziato a godere la musica di Dylan, la casa discografica Columbia fece appunto uscire i due 45 giri di grande successo “Positively 4th Street” e “Can you please crawl out your window?”. Alcuni versi di “Positively 4th Street” (“Hai proprio una grande faccia tosta/A dire che sei mio amico/Quando ero giù/Te ne stesti lì sorridendo/Hai proprio una grande faccia tosta/A dire che puoi dare una mano/Hai solo voglia di stare dalla parte/Della squadra che sta vincendo/”) e tutta la canzone in generale sembrerebbero alludere a dissapori maturati da Dylan nei confronti degli ambienti del folk tradizionale da cui si era già allontanato per abbracciare le sonorità elettriche del rock. Al riguardo il cantante di Duluth ha ufficialmente smentito tale interpretazione. Tra le covers più conosciute di “Positively 4th Street” vi sono quelle di Beatles, Byrds e Lucinda Williams. “Can you please crawl out your window?”: il brano viene registrato durante le sedute di registrazione di “Blonde on blonde”. Nell’incisione, che sul mercato discografico fu pubblicata come singolo nel 1965, Dylan è magistralmente accompagnato da The Hawks, futuri “The Band” (Robbie Robertson alla chitarra, Rick Danko al basso, Richard Manuel al pianoforte, Garth Hudson all’organo e Levon Helm alla batteria). La canzone risulta inserita nella discografia dylaniana come 45 giri fino al 1985, anno in cui viene inclusa nella raccolta “Biograph”, contenente materiale la cui datazione è compresa tra il 1961 e il 1981. Da segnalare, tra le covers, quella della Jimi Hendrix Experience, che eseguì in pieno stile garage tipico dell’epoca, per la radio della BBC, una versione incendiaria della canzone (il brano è contenuto nel postumo hendrixiano “BBC Sessions”, pubblicato per la MCA Records nel 1998) e quella di Wilko Johnson e Roger Daltrey, pubblicata più di recente sul loro album “Going Back Home” del 2014. Ancora: di “When i paint my masterpiece” Dylan registrò una versione nei primi mesi del 1971 con la supervisione artistica di Leon Russel, che nel brano suona anche il pianoforte. La formazione di musicisti che eseguono il pezzo è composta da Jesse Ed Davis (chitarra), Don Preston (chitarra), Carl Radle (basso), Jim Keltner (batteria), Claudia Lennear e Kathi Mc Donald (cori). Di fatto, l’edizione più conosciuta (e di gran lunga superiore a quella dello stesso Dylan) di questa splendida song è quella di “The Band”, che inserì la cover in “Cahoots”, album del 1971. La canzone ancora incompleta fu offerta da Dylan alla Band a seguito di una richiesta specifica di Robbie Robertson. Quest’ultimo, durante le registrazioni di “Cahoots” chiese a Dylan se avesse disponibilità di qualche suo pezzo che il gruppo avrebbe potuto interpretare e inserire nell’album. Robertson, fortunatamente, fu accontentato. La versione dylaniana del brano trova spazio nell'”ufficiale” doppio antologico “Bob Dylan’s greatest hits Vol. II”, che esce nel Novembre del 1971. Segnaliamo, della stessa canzone, le covers di Grateful Dead, Hemmylou Harris ed Elliott Smith. Parole misteriose come spesso accade nelle canzoni di Bob, quelle del testo di “When i paint my masterpiece”. La sua ambientazione romana, peraltro, accende la curiosità (che rimane insoddisfatta) sulle circostanze in cui esso è stato scritto e sull’identità della “nipote di Botticelli” di cui si parla in alcuni versi. Pura poesia, i versi di “When i paint my masterpiece”! Ecco le parole della prima strofa: “Oh, le strade di Roma sono piene di rovine/Tracce di antichi passi ovunque/ti viene quasi da pensare che stai vedendo doppio/In una fredda, oscura notte sulle scale di Piazza di Spagna/mi affrettavo verso il mio hotel/dove avevo un appuntamento con la nipote di Botticelli/Ha promesso che sarebbe stata con me/quando avrei dipinto il mio capolavoro//”. Anche “Watching the River Flow”, singolo del 1971, successivamente alla sua uscita su 45 giri viene inserito nella raccolta antologica “Bob Dylan’s greatest hits Vol. II” (1971). Si tratta di un ritmato rock-blues elettrico registrato, se si escludono le coriste e il chitarrista Don Preston, dalla stessa formazione di musicisti presente in “When i paint my masterpiece”. Il testo di questa canzone da qualcuno è stato interpretato come una dichiarazione di disimpegno da parte di Dylan nei confronti degli eventi sociali e politici oggetto fino a quel momento di molte delle sue canzoni. Scrive Robert Shelton, uno dei più noti biografi di Dylan, che dopo Israele (nel 1971 Dylan, che è di origini ebree, effettuò un viaggio nel paese mediorientale) Dylan incise insieme a Leon Russel e ai Tulsa Tops, un singolo, “Watching the River Flow”, una specie di gospel rock molto vibrante. “La fotografia della pubblicità mostrava Dylan con l’occhio sull’obiettivo della macchina fotografica. A questo punto, voleva essere soltanto un osservatore:[…]”  Leggiamo dal testo: “Gente che ha qualcosa da ridire dovunque uno guardi/Ti fanno fermare per leggere un libro/Perchè appena ieri ho visto qualcuno sulla strada e proprio non riusciva a non piangere./Oh, e nonostante tutto questo vecchio fiume continua a scorrere/non importa cosa gli si metta di mezzo e da che parte soffi il vento,/e finchè sarà così me ne starò semplicemente seduto/e guarderò scorrere il fiume.” Dylan, però, smette presto di osservare passivamente: l’assassinio di George Jackson, uno dei principali militanti del Black Panther Party (BPP), movimento rivoluzionario afroamericano, ucciso a colpi di fucile da un secondino che gli sparò alle spalle nel cortile della prigione San Quentin, costituisce il motivo ispiratore e l’oggetto di un’altra sua celebre canzone uscita su 45 giri (“George Jackson”, appunto, il titolo). Il cruento omicidio dell’attivista di colore scatenò una feroce campagna di repressione contro il movimento dei neri. Il singolo fu pubblicato il 12 Novembre del 1971. Sul retro la versione acustica (eseguita dal solo Dylan) del brano. Nella versione più completa “George Jackson” vede partecipare ai vari strumenti oltre Dylan (voce, chitarra e armonica), anche Kenneth Buttrey alla batteria, Ben Keith alla steel guitar, Leon Russell (stavolta al basso), Joshie Armstead e Rosie Hicks ai cori. Tra le cover più note quella di Joan Baez, che propose il brano in una sua tournée del 1977. La canzone, inizialmente pubblicata solo su 45 giri, nella sua versione più celebre fa parte della raccolta ufficiale “Masterpieces”, pubblicata in Giappone e in Australia nel 1977. “George Jackson”, peraltro, fa venire in mente un ulteriore celebre successo dylaniano anch’esso “di protesta”, “Hurricane”, dedicato alla vicenda giudiziaria di Rubin Carter, pugile afroamericano imprigionato a seguito di testimonianze false per un omicidio che non aveva commesso e per cui fu scagionato nel 1985. “Hurricane”, che è contenuto nell’album “Desire”, fu pubblicata anche su 45 giri, suddivisa tra le due facciate, nel 1975. La ballata fu realizzata in collaborazione con alcuni dei musicisti che avrebbero in seguito partecipato alla Rolling Thunder Revue.

GIOVANNI GRAZIANO MANCA